Scusate la presa di posizione, ma davvero: non se ne può più.
Oggi, più che mai, dovremmo continuare a indignarci. Sì, indignarci. Perché la Pace non è uno slogan da esibire una volta l’anno, ma un’urgenza quotidiana. Un grido che deve farsi sentire, forte e chiaro. I simboli che la rappresentano sono stati tantissimi nel corso degli anni. Oggi non possiamo non citare le opere di Banksy, artista anonimo e figura iconica della street art mondiale, che ci ha donato opere dal forte simbolismo. Ma due, più di tutti sono ormai delle icone della Pace.
Il primo è il celebre simbolo della pace: un cerchio attraversato da linee che formano le lettere N e D dell’alfabeto semaforico utilizzato nelle segnalazioni nautiche – Nuclear Disarmament. Lo creò Gerald Holtom nel 1958, in un momento di disperazione profonda, così raccontava in una lettera scritta a Hugh Brock, redattore di Peace News. Era il suo modo di raffigurare un uomo in ginocchio, le braccia tese verso il basso, alla maniera del contadino di Goya davanti al plotone d’esecuzione. Un grido silenzioso contro la guerra, diventato icona globale nei movimenti per il disarmo e contro il conflitto in Vietnam.
L’altro simbolo è molto più antico. È la colomba con il ramo d’ulivo. Risuona nella nostra cultura, nella nostra spiritualità, nella nostra Pasqua. Richiama il racconto del diluvio universale: quando Noè fece volare una colomba, che tornò con un ramoscello d’ulivo nel becco. Era il segno che tutto poteva ricominciare. Che era possibile una nuova era. Di perdono. Di pace.
E allora sì, usiamola questa colomba come messaggio potente da lanciare insieme.
Imagine all the people
Livin’ life in peace…
Cantava qualcuno, e noi non smetteremo mai di crederci.
Buona Pasqua. Di cuore. Di pace.
Anche la comunicazione, quando è sincera, può essere un atto di pace.

Nuclear Disarmament
